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  1. Il Gruppo Estra, tra gli operatori leader nel Centro Italia nel settore della distribuzione e vendita di gas naturale, attivo altresì nella vendita di energia elettrica, nasce nel 2009 quando tre gruppi toscani (Consiag, Intesa e Coingas) decidono di aggregarsi per sfruttare le sinergie esistenti nel settore della vendita del gas naturale e dell’energia elettrica e diventare un nuovo soggetto leader del Centro Italia. Obiettivo che si consolida ancor più quando, a fine 2017, è entrata a far parte della compagine sociale di Estra anche la multiutility Viva Servizi.

    Ad oggi tali soci rappresentano 139 Comuni delle province di Ancona, Arezzo, Firenze, Grosseto, Macerata, Pistoia, Prato e Siena.

    Il Gruppo Estra opera, attraverso società controllate, in joint venture e collegate, prevalentemente in Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Calabria e Sicilia ed è attivo nella distribuzione e vendita di gas naturale e di gpl, nella vendita di energia elettrica, nonché nelle telecomunicazioni, nella progettazione e gestione di servizi energetici e nella produzione di energia da fonti rinnovabili.

    Attraverso Estra notizie, la multiutility a partecipazione pubblica aggiorna regolarmente gli stakeholder sulle attività aziendali e le loro ricadute territoriali, riassumendo le principali novità in 1 minuto.

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  2. La situazione sta tornando alla normalità, anche se permangono alcune situazioni di criticità in aree produttive dove stamani andrò a fare un sopralluogo per capire come dare una mano.

    Abbiamo ancora in corso circa 200 interventi di ripristino, ma il lavoro che dovremo fare per aumentare la sicurezza rispetto ad un evento della proporzione di quello che ci ha colpiti sarà impegnativo e invasivo.

    Ne parleremo e lo affronteremo con le popolazioni coinvolte, perché in alcuni casi, probabilmente, saranno interventi che cambieranno il volto delle città.

    Oggi l'urgenza, però, è sostenere chi ha perso molto o tutto. Servono risorse adeguate che ancora non ci sono. Ad oggi, come struttura commissariale, abbiamo già speso quasi 100 milioni a fronte di uno stanziamento del Governo di 5 milioni, ma sappiamo già, grazie alla stima fatta da IRPET, che le risorse necessarie superano i 2 miliardi. È chiaro che serve un intervento forte e rapido del Governo.

    Governo che ancora dimostra di non aver capito la gravità della situazione. Certo non si fa ripartire un territorio rinviando le scadenze fiscali per le imprese per soli 20 giorni.

    Inoltre credo non sia sfuggito a nessuno che il Ministro alla Protezione Civile è venuto in uno dei comuni più colpiti, mentre ancora eravamo nel fango, ed ha invitato a farsi un'assicurazione.

    Ciò nonostante noi vogliamo collaborare con il Governo. Vogliamo unire tutte le forze, al di là dei colori politici, per dare risposte alla nostra gente.

    Oggi pomeriggio, assieme alle categorie economiche ed ai sindacati, il Presidente Giani ha invitato tutte e tutti i Parlamentari toscani ad un confronto che auspichiamo possa essere l'inizio di un lavoro congiunto.

    Abbiamo bisogno di sostegno e ci serve subito. Le nostre comunità sono in ginocchio, le case della nostra gente sono vuote, le nostre fabbriche sono in parte ancora chiuse.

    Siamo un popolo che sa rimboccarsi le maniche perché lo ha sempre fatto, ma adesso devono aiutarci, anche perché se si ferma questo pezzo di Toscana si ferma una filiera fondamentale per il Paese.

    di Monia Monni, assessora all’Ambiente della Regione Toscana

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  3. Alla vigilia della manifestazione nazionale “Lo Stretto non si tocca”, che si svolgerà a Messina domani  2 dicembre (appuntamento alle 15.30 piazza Cairoli), l’Osservatorio dei conti pubblici italiani – con una nota a firma di Carlo Cottarelli e Leoluca Virgadamo – contestualizza la boutade del fantomatico ponte sullo Stretto di Messina con la realtà del trasporto ferroviario attivo sull’isola più grande del Mediterraneo.

    Realizzare il progetto del fantomatico ponte «dovrebbe costare 14,6 miliardi di euro», ma è questa la priorità per colmare il  divario infrastrutturale tra nord e sud? L’Osservatorio risponde documentando che lo stato della rete ferroviaria locale in Sicilia «è molto debole».

    Il problema non è concentrato solo su tratte singole – basti osservare che quella tra Palermo e Trapani, passante per Milo, è interrotta dal 2013 a causa di una frana – ma sull’intera rete siciliana che conta 1.370 km di ferrovia.

    Innanzitutto, di questi 1.370 km, soltanto 223 (16%) sono a doppio binario, contro il 46% della rete nazionale; inoltre il 42% delle tratte regionali è alimentato dall’inquinante e climalterante diesel, contro il 28% delle tratte nazionali.

    Per misurare la debolezza della rete ferroviaria siciliana rispetto alle altre regioni d’Italia, l’Osservatorio ha calcolato la “velocità di percorrenza effettiva” (Vpe) ottenuta come rapporto tra il tempo necessario per raggiungere la destinazione e la distanza spaziale tra i capoluoghi di provincia della Sicilia, della Toscana e del Piemonte (rispettivamente la regione del centro e quella del nord prese a riferimento per il confronto).

    Sotto questo profilo sono state prese in esame due fasce orarie di partenza, dalle 8:00 alle 9:00 e dalle 14:00 alle 15:00. «L’analisi in origine comprendeva anche la fascia dalle 18:00 alle 19:00 – aggiunge l’Osservatorio –, ma l’assenza di treni su molte tratte siciliane con partenza in tale fascia oraria ci ha costretto a scartare questa opzione». Non un buon punto di partenza.

    Il risultato dell’analisi è sconfortante: «Andare da una città all’altra in Sicilia implica lo spostarsi, in media, a 26 km/h nella prima fascia oraria e a 28 km/h nella seconda fascia oraria. Rispetto alle altre regioni, la velocità è più bassa quasi del 40%».

    Si tratta comunque di un dato medio: i collegamenti da e verso Trapani richiedono un tempo di viaggio di minimo quattro ore, nonostante la distanza con Palermo sia di soli 75 km. Va ancora peggio coi collegamenti per Ragusa, dato che un qualsiasi viaggio da o verso la città (esclusa la tratta di appena 52 km per Siracusa) richiede un tempo di percorrenza minimo di cinque ore.

    Come si spiegano queste performance da lumaca? «Una buona parte del divario – argomenta l’Osservatorio – dipende dalla velocità sui binari dei treni: i treni siciliani viaggiano a 10 km/h in meno rispetto a quelli piemontesi e a 7 km/h in meno rispetto a quelli toscani. Un’altra parte del problema è che la rete ferroviaria siciliana è meno sviluppata, costringendo a lunghi itinerari nei collegamenti tra città. Come si è detto, la rete siciliana è di 1.370 km, ossia 53 metri di ferrovia per chilometro quadrato di territorio, contro 64 e 75 metri per chilometro quadrato di territorio rispettivamente per Toscana e Piemonte […] Infine, il tempo necessario per muoversi da un punto all’altro risente della minor frequenza dei treni, che fa crescere i tempi di attesa tra un treno e l’altro».

    In un simile contesto, non solo il ponte sullo Stretto rappresenterebbe un enorme quanto pericoloso spreco, ma non inciderebbe in modo rilevante per colmare il gap infrastrutturale tra nord e sud. Anzi, le relative progettualità collegate al miglioramento della rete ferroviaria siciliana suonano come una beffa.

    «Dal Governo – conclude l’Osservatorio – sono arrivate rassicurazioni sul fatto che, in combinazione alla costruzione del ponte sullo stretto, sono in corso investimenti per rafforzare la rete di trasporto pubblico locale, anche con finanziamenti del Pnrr. I progetti in corso, che dovrebbero essere completati entro il 2027, sono quattordici. Così come riportati da Rfi, i lavori programmati sembrerebbero porsi obiettivi modesti, in alcuni casi volti al ripristino e al normale servizio di linee interrotte da anni. Il quadro sembrerebbe lontano dalle prospettive di una linea a velocità adeguata estesa alla regione. Tra l’altro, per nessuna tratta sono programmati collegamenti ad alta velocità».

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  4. Il mese di dicembre in Toscana si è aperto con temperature primaverili, ma tra la serata di oggi e la mattina di sabato 2 dicembre è atteso il transito di un nuovo fronte freddo sulla regione, che porterà con se nuovi temporali e forti raffiche di vento.

    La Sala operativa della Protezione civile regionale ha dunque esteso il codice arancione per rischio idrogeologico e idraulico del reticolo minore per le aree di nord-ovest fino alle 14 di sabato, ha emesso un altro codice arancione per vento (per le aree nord-orientali valido dalle 18 di venerdì fino alle 16 di sabato; per costa centrale e isole dalle 6 fino alle 20 di sabato) e uno per mareggiate dalle 6 fino alle 20 di sabato per il tratto di costa compreso tra Versilia e costa livornese.

    Al contempo, è stato emesso anche un codice giallo per temporali forti dalla mezzanotte fino alle 13 di sabato per quasi tutta la regione (escluse aree meridionali e isole), uno per rischio idraulico del reticolo principale dalla mezzanotte fino alle 18 di sabato per la zona del Mugello, uno per vento dalle 6 alle 18 di sabato per il resto della regione (ad eccezione delle zone con codice arancione) ed infine uno per mareggiate dalla mezzanotte fino alle 20 di sabato per il tratto di costa a sud di Piombino.

    Come sintetizzano dalla Regione, per oggi si attendono venti forti sui crinali appenninici e zone sottovento con raffiche fino a 60-80 km/h con ulteriore rinforzo del vento dal tardo pomeriggio con raffiche anche superiori ai 100 km/h, mentre per domani la previsione è di venti da ovest sud-ovest in rinforzo su tutta la regione.

    In particolare sono attese raffiche fino a 80-100 km/h o superiori su costa livornese, arcipelago a nord dell'Elba, Appennino tosco romagnolo e zone sottovento; sulle zone collinari della Toscana centrale raffiche fino a 70-90 km/h, altrove e in pianura raffiche fino a 50-80 km/h, in attenuazione dal pomeriggio di domani.

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  5. La crisi climatica avanza nel nostro Paese a velocità quasi tripla rispetto a quella globale, e con essa cresce anche il rischio di malattie e peggioramento della salute umana, sotto molteplici aspetti: da ultimo, un nuovo studio italiano mostra che il cambiamento climatico è un fattore di rischio importante anche per l’asma.

    «Nel 2019 abbiamo cominciato a studiare le oscillazioni cicliche dell’aridità correlandole ai tassi di mortalità per asma negli Usa: da qui l’idea di estendere quanto osservato, studiando anche i dati sull’incidenza dell’asma nel nostro Paese», spiega Sergio Bonomo, ricercatore del Cnr-Igag e autore della ricerca.

    A formulare un’ipotesi sulla possibile relazione tra clima arido e incidenza dell’asma in Italia è un team del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), in collaborazione con pneumologi, biostatistici ed epidemiologi di diverse università italiane (Verona, Ancona, Ferrara, Palermo, Pavia, Torino e Sassari).

    In particolare, per verificare l’esistenza di un legame tra siccità, cambiamenti climatici e incidenza dell’asma, il gruppo di ricerca ha analizzato le oscillazioni periodiche intercorse tra il 1957 e il 2006.

    «Per quanto riguarda l’Italia – argomenta Bonomo – le variazioni di siccità ricostruite attraverso l’indice di Palmer (sc-Pdsi) - che misura il grado di severità della stessa - sono state messe in relazione alle fluttuazioni di un indice climatico, la Summer north atlantic oscillation (S-Nao) che, nella sua fase negativa, genera condizioni umide sull’Europa nordoccidentale e condizioni aride sul Mediterraneo centrale. È emerso che nel nostro Paese l’incidenza dell’asma condivide lo stesso schema di fluttuazioni, con una periodicità media di 6 anni».

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